Il disco si inaugura con una sofisticata e “notturna” intro orchestrale (Dark Moon):un tema dalle sembianze barocche e decadenti è affidato alla sezione archi; struggente,lento,magnificente;di improvviso,ecco ascoltiamo squilli furtivi di ottoni,quasi a rimembrare una battaglia;l'atmosfera diviene progressivamente più cupa e assieme ad essi si intrecciano le sonorità del coro,sapientemente incalzate da percussioni e colpi di campane.L'agglomerato melodico sfocia in una nuova idea musicale,dominata da una melodia arabeggiante e riff di chitarre della formazione di default (chitarre,tastiere,basso batteria) tingendo l'atmosfera di un tangibile esotismo.Il colpo di gong dopo la cadenza piccarda finale -la quale acquista il valore equivalente di un momentaneo bagliore di luce – ci porta al brano che da il titolo all'album intero (Lord of the Night); prologo del pezzo è l'emblematica frase tratta dal libro di Tolkien, simbolo del romanzo stesso e ripetuta anche nel ritornello: “One ring to rule them all\One ring to find them\One ring to bring them all\and in darkness bind them” tutta la potenza musicale dei 4 libici finalmente irrompe,più vitale che mai,in questo brano e anche nei successivi “The Last Stand”, “Cease Fire” e “Battle Roar” dove Bassem ci da prova di possedere una caratteristica tessitura più sporca (che non definirei growl) oltre al già ottimo registro pulito apprezzato in Lord of the Night.
Con “Am I Black” ecco nuovamente una intro orchestrale: dopo il tuono,dolcissimo il tema di oboe violini che precedono la chitarra acustica,base per la melanconica esposizione della prima strofa. Bassem mostra padronanza musicale e carisma,in punta di piedi e senza mai strafare,ci fa dono di una suggestiva ballad e sembra quasi si ispiri a Ronnie James Dio, al quale Am I Black sembra quasi un omaggio per lo stile musicale e i respiri vocali.
Sonorità decisamente più spinte per la successiva “Journey to Eternity” che strizza nettamente l'occhio a stilemi del genere thrash.
Indubbiamente degna di nota è la bellissima “The Land”. Caratterizzata da una lungo solo di chitarra acustica iniziale,la ballata ha una connotazione fortemente mediorientale: marcata da vocalizzi e dalla sinuosa sensualità delle chitarre, essa è completata dalle suggestioni sensoriali proposte dal testo.
“Awakened Dreams” è un metaforico viaggio dentro se stessi,malinconica riflessione e secondo omaggio alle ballate di Ronnie James,anche questo perfettamente riuscito quanto il precedente “Am I Black”.
“March of the Eastern Man” è un articolato brano quasi interamente strumentale; a chiusura del disco troviamo l'outro strumentale e la suggestiva ballad “Living Forever” viaggio introspettivo sul senso della vita.
Complessivamente un album decisamente riuscito, ottimo compromesso fra sonorità vintage e lo stile personale della band libanese. Ci auguriamo presto di vedere in Italia una band valida come la loro!