Monday, 28 February 2011 15:46

ALICE IN CHAINS "DIRT" (COLUMBIA - 1992)

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Noi, Nostalgici del buon vecchio rock on the road, difficilmente riusciamo ad abituarci alle nuove uscite discografiche, underground o mainstream che siano, perché ormai tutto è talmente contaminato, rivoltato, copiato, remix del remix in senso lato dove manca non solo l'originalità, ma il sentimento musicale e creativo che istiga a dire qualcosa di nuovo......di rompere le barriere come probabilmente solo alcune poche contate band hanno fatto negli ultimi 10 anni.

 

Spesso, Noi Nostalgici, amiamo ricordare momenti passati di vita magari legati all'infanzia se non l'adolescenza, i primi ascolti, i primi concerti, le prime serate in compagnia di amici e la musica di quella tale situazione che non scorderai mai...........quella che rimane nella testa e non se ne va più dalle nostre vite.

Bene, proprio in questi giorni mi torna alla mente un brano, ROOSTER, uno di quelli che vorrei al mio funerale e che mi ha sempre emozionato per la sua carica esplosiva, emotiva, ribelle anticipata da una suonata ballad in puro stile rock americano degli anni '90....io sono legato a quell'epoca avendo quasi 32 anni e a questa band (ho anche il nome tatuato sulla schiena come emblema della loro grandezza): quella canzone fu firmata dagli ALICE IN CHAINS, e l'album in questione “DIRT”, il loro grande capolavoro di sempre.........e chi ha da ridire in merito mi può scrivere via email e discutere simpaticamente per giorni con me...........

Ritornano sulla scena l'anno scorso con nuovo album e nuovo singer William Duvall, live in tutto il mondo e riconoscimenti ovunque per la reunion nata dalla mano del chitarrista-seconda voce Jerry Cantrell, il bassista Mike Inez (anche membro della corte di Ozzy) e il batterista Sean Kinney: però manca lui, anzi mi manca da morire, il leader carismatico e simbolo di un'intera epoca di cambiamenti di stile e musica, Layne Staley, morto nel 2002 per mix letale di droghe. Dopo un'agonia di anni legata alla tossicodipendenza e la totale solitudine di un uomo abbandonato a se stesso dopo tanti successi ed eccessi (Jerry, piangere l'amico nelle interviste dopo che è morto è troppo tardi ormai.....mi spiace), ricordiamoci tutti che c'era molto di più di una storia finita in tragedia, c'era un personaggio amato sul palco per la sua carica e fascino, bello e dannato, c'era un'anima profonda che parlava alle persone tramite la sua voce, tanto depressiva, oscura e malinconica da far assimilare all'ascoltatore stati d'animo di puro sconcerto e cupidigia, quanto intrigante, sensuale, selvatica e pronta a svoltare su tonalità più pesanti e grezze, come se le chitarre graffianti e serrate scavalcassero un ponte tra heavy metal e grunge per andare oltre, e nel caso di A.I.C. la parola “UNICI” non viene mai citata per caso!

DIRT” inizia con l'adrenalinica “THEM BONES”, dove l'urlo di Layne (a Noi Nostalgici piace chiamarlo per nome, questo è affetto) dei primi secondi si associa in maniera finissima al doppio gioco di voci insieme a Cantrell fino al chorus “I feel so alone, gonna end up a big ole pile a them bones”, si passa ai chitarroni da headbanging e capelloni di “DAMN THAT RIVER” e la stoneraccia “RAIN WHEN I DIE”, poi la ballad acustico-elettrica-strappalacrime “DOWN IN A HOLE” (dedicata al disagio di molte famiglie che vivono in camper e tende tra deserto della California e New Mexico), l'inno di sempre “ROOSTER”, scritta dal chitarrista (co-autore di molti testi e mente stabile della line up), dove si cita l'esperienza del padre in Vietnam (il titolo del brano viene dal nickname di battaglia, il “gallo”) e la morte negli occhi vista ogni giorno da un giovane ragazzo che vuole tornare a casa, saltiamo subito a “GODSMACK” (come la futura band new metal che ne prenderà il nome come tributo) e la sua forza dirompente quanto una pressa omicida, “ANGRY CHAIR”, pura polemica contro la pena di morte negli USA, brano molto psichedelico nelle voci quanto nei suoni virtuosi e un po' dal tono delay, dove si nota un drumming lento e cadenzato, quasi eighties, assoli hard'n'roll che si scontrano con stoppati e ritornelli come solo l' alternative di quel periodo insegna........e si conclude con uno dei classici dei classici di sempre, “WOULD?”, basso distorto e solitario a presentare la fine di un album da “hall of fame”, un giro leggero di chitarre a sostenere l'intro e poi l'esplosione totale di domande sulla vita tra rock duro e introspezione, “If I would, could you?”, come se lo stesso Layne sapesse già che la sua fine a meno di dieci anni sarebbe finita.........Non aggiungo altro, mi emoziono troppo a parlare di questa band e la sua leggendaria carriera discografica, ma desidero solo una cosa: quando morirò voglio che lui venga al mio cospetto e se sarà inferno o paradiso non importa, Layne ci guiderà tutti alla maledizione eterna.......la maledizione del vero rock! R.I.P.

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