ispirato. Quella casa nel bosco è un notevole esempio di nuova scuola del mistico-horrorifico, con piccoli inserti politici e comici.
Titolo: Quella casa nel bosco
Regista: Drew Goddard
Sceneggiatura: Joss Whedon, Drew Goddard
Attori principali: Kristen Connolly, Chris Hemsworth, Anna Hutchison
Anno: 2011
Durata: 95 minuti
In alto i cuori, giovani cinefili assetati di cultura! La vostra rubrica di cinema preferita ritorna con un altro consiglio, non richiesto, su cosa vedere nelle lunghe notti di inizio autunno.
Ho deciso, dopo la parentesi buonista, di ritornare a un sano titolo horror, di relativamente recente uscita, che mi ha particolarmente
Posso immaginare che queste due parole, agli occhi dei veterani e amanti spassionati del genere, potranno sembrare un invito a schivare questo film come la Morte. Probabilmente, a scatola chiusa, la mia reazione sarebbe la stessa, ma ci sono dei validi motivi per non farlo e gustarsi la visione davanti a un bidone di pop-corn.
Partiamo con un’analisi superficiale: il regista, Drew Goddard, è una vecchia conoscenza degli amanti di Buffy, l’ammazza vampiri. Ha scritto varie puntate di Buffy (e prodotto l’ottava serie che quasi nessuno conosce perché mai arrivata in Italia e girata come una specie di video-fumetto), Angel, Lost e lo screen play di Cloverfield (da me precedentemente citato in Monsters come un esempio di innovazione del genere sci-fi). E’ stato anche produttore di Alias e per la stesura di questo film affianca un altro nome d’importanza cruciale nella realizzazione di Buffy: Joss Whedon. I due autori-produttori hanno sincronizzato nuovamente le menti nel riuscitissimo intento di regalarci un’altra storia al confine tra il mistico, l’horror e l’ironico (ingredienti cari a tutta la produzione passata di Whedon).
Gli attori, come spesso succede in questo genere cinematografico troppo spesso considerato ancora di nicchia, non sono dei mostri sacri dell’Accademy Americana, ma ragazzi giovani e adatti alla parte. Niente da dire sull’interpretazione dei protagonisti e della crew di contorno; godibilissima e vagamente comica la parte di Fran Kranz, l’aspirante tossico che si rivela una chiave importante per lo sviluppo della storia. Chris Hemsworth, dopo aver imbracciato il martello di Thor, offre una prestazione senza picchi di eccelsa recitazione (peraltro non richiesti in questo film) ma senza rendersi nemmeno ridicolo posando come un modello stile stupido ma bello. Le due ragazze, rispettivamente Kristen Connolly (protagonista che non lascia il segno) e Anna Hutchison (lo stereotipo classico della bambola da horror), che non hanno alle spalle un’esperienza e un portfolio sufficientemente consolidati, chiudono il quartetto di protagonisti e ignari agnelli sacrificali della Casa. Sul perimetro del film-script poi ritroviamo Richard Jenkins (che in Blood Story mi ha entusiasmato come padre fittizio/amante della giovane vampira Chloë Grace Moretz) e uno splendido cameo dell’immensa, unica e fenomenale Sigourney Weaver (sarebbe umiliante per voi e per me citare la sua immensa filmografia).
La scenografia, il trucco, gli effetti speciali e tutto il backstage del film sono in qualità standard per un horror di medio-alto profilo; i dialoghi sono meno banali di quel che ci si potrebbe aspettare e in ultima analisi, tutto il film è abbastanza originale e godibile.
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L’inizio del film: mi ha ricordato un po’ Cabin Fever e per certi versi gli assomiglia. Ho apprezzato l’idea di scomporre gli indizi sullo sviluppo degli eventi durante tutta la pellicola, alternando le vicissitudini delle quattro povere vittime, allo scrupoloso lavoro del centro di controllo. Il discorso di un sorprendentemente lucido Marty (il tossico) sulla società moderna poi è davvero illuminante e in parte condivisibile ("la società non si sgretola, in una corsa repentina verso il caos, ma si sta consolidando, raggiungendo una stasi mortale che andrebbe fermata proprio destrutturandola dalle fondamenta").
Il gruppo dei personaggi: ha le personalità classiche del film horror: il ragazzo atletico e bello che non arriva alla metà della trama, la bionda vagamente vuota che non supera nemmeno il quarto della pellicola (ma in compenso mostra il frutto di anni di macchina per rassodare le cosce), la ragazza meno bella della precedente, molto più impegnata e intelligente che arriva quasi all’ultima scena della sceneggiatura e l’elemento ibrido, difficilmente inquadrabile, che questa volta è un aspirante tossicodipendente, politicamente impegnato e sorprendentemente resistente. Gli operatori zelanti del centro operativo sono piacevolmente cinici e distaccati, come ci si potrebbe aspettare da chi, per lavoro, coordina legioni di mostri e sacrifica ignare vergini a Dei mastodontici. Il loro impatto nel film è notevole: svelano pian piano lo scopo e i risvolti non espressi con immagini. Chiudono i buchi della trama, volutamente suggerita e non espressa in pieno.
La location: chi di voi non ha avvertito un brivido lungo la schiena notando la fantastica citazione alla Casa di Sam Raimi, sia per l’arredamento e la posizione della bicocca di legno, che per la botola che da inizio alla carneficina (e che Bruce Campbell/Ash aveva usato per contenere il demone fluttuante di plastilina e pongo). Il film mi ricorda anche The Cube – nella scena in cui Marty e la non-vergine Dana sono nell’ascensore, circondati da migliaia di blocchi cubici pieni di amenità e mostri.
Il lato ironico: Il personaggio di Marty, nella prima parte, è lo stereotipo del fumatore di marijuana tipico dei film. Questo suggerisce allo spettatore di non ritenerlo una figura rilevante e così da creare stupore quando invece si rivela la chiave della trama. la telefonata di Mordecai, la gag del viva-voce, spezza la tensione creata dall’aspettativa di uno sviluppo drammatico e apre al momento di distensione del bagno nel lago. Questo serve per far abbassare la guardia allo spettatore e preparare la sferzata horrorifica. L’operatore del Centro che viene ucciso proprio dal tritone che sognava tanto di vedere, un altro modo per alternare tensione e humor e così disorientare chi segue la storia. Il dialogo finale: una serie paradossale di frasi scontate, se vogliamo assurde, da pronunciare nel contesto di una fine del Mondo…per me lo scambio più riuscito dell’intero film (“sai, penso che Curt non ce l’abbia nemmeno un cugino…” cit.).
I mostri citati nella parte finale del film sono una marea, ma per l’elenco dettagliato vi rimando a uno dei tanti siti che ne ha stilato uno esauriente. Alcuni però sembrano ispirati a Hellraiser e Venerdì 13…rendono il tutto non proprio un classico horror, ma una violazione del copyright, a mio avviso.
Un motivo per vedere Quella casa nel bosco: per niente scontato e con una bella sorpresa nel finale. Film pieno di citazioni e nel complesso un futuro Evergreen dell’horror.
Un motivo per non vedere Quella casa nel bosco: non mi viene in mente al momento. Potrei improvvisare una presunta banalità derivata dalle continue citazioni e dal ritmo da classico del Creep Show ma è molto relativo sostenere che questo sia un difetto. A qualcuno comunque questo potrebbe non piacere. Di sicuro.
In conclusione: pellicola entusiasmante, credo addirittura già disponibile in Bluray e che metterei in un’ipotetica collezione di film horror tra Drag me to hell e un film a caso di Rob Zombie.
Come ormai amo ripetere sempre però, utilizzate le vostre facoltà mentali, la vostra sensibilità personale e il vostro giudizio per valutare questo e ogni altro film recensiti su questo sito.
Quella casa nel bosco si merita 8 Kubric su dieci (8/10) e si guadagna un posto nella mia personale collezione.
Buona fine del mondo a tutti e buona visione!
Demonescuro